Il tessuto economico-produttivo italiano, il DNA della nostra economia, è la piccola impresa, l’iniziativa economica del piccolo o piccolissimo imprenditore, che, moltiplicata e spalmata sul territorio è stata ed è volano di sviluppo, motore di occupazione e fonte di reddito per decine di migliaia di famiglie.
Il gestore, in questo sistema, rappresenta l’archetipo del piccolo (piccolissimo) imprenditore, che si trova schiacciato dalla crisi, che vede sgretolarsi ogni certezza, che non può più investire nella propria professionalità, che non può più assicurare un futuro né a sé stesso, né, men che meno, ai propri collaboratori, che, in una parola, vive nella precarietà.
24.000 impianti, oltre 70.000 operatori del settore, oltre 70.000 famiglie di piccoli o piccolissimi imprenditori, di collaboratori che vivono nella precarietà.
Un dato su tutti, la crescita del numero dei fallimenti, ad oggi uno ogni cinque impianti.
Un tasso di indebitamento degli operatori che ha superato, a livello nazionale, i 300 milioni di euro.
La strada sembra già irrimediabilmente segnata, con il tramontare della piccola impresa, bistrattata e ignorata dalle ragioni della finanza delle multinazionali, bistrattata e ignorata dalla politica degli ultimi 60 anni, bistrattata e ignorata, perfino, dalla legislazione sociale, che non contempla, per la piccola impresa, nemmeno quegli “ammortizzatori” che pure sono diritto del lavoratore e che, di fatto, hanno l’effetto, per quanto indiretto, di pilotare e assistere la crisi della grande impresa.
Il gestore, piccolo imprenditore sprovvisto di forza contrattuale, sprovvisto di supporto politico, dimenticato dall’economia, scompare dalla filiera a tutto vantaggio della Corporation, dell’aggregazione di interessi avulsi dalla logica (piccolo-imprenditoriale) del lavoro, a tutto vantaggio della ricerca del profitto illimitato ed illimitabile, della spersonalizzazione del servizio, della concentrazione economica, del controllo del mercato da parte di un ristretto gruppo di agenti che, in assenza di un contraente-contraddittore, hanno le mani libere.
Il gestore, invece, ha garantito e garantisce, quale intermediario e “soldato di trincea”, con il proprio operato, con la propria responsabilità economica, con la propria attività di impresa, con il proprio gettito fiscale, la salvaguardia dei livelli occupazionali e, facendo da “cuscinetto” tra la strada e la finanza, ha contribuito alla tutela del consumatore, di fronte al quale garantisce in proprio e non solo per conto della Compagnia.
Se la missione della grande distribuzione è infatti quella di incrementare i propri profitti, e di ciò nessuno può dubitare, quale tutela può avere il consumatore che si relaziona con un sistema che tende solo al profitto? O, più banalmente, che fine sarà destinata a fare la continuità territoriale della rete che garantisce anche la sicurezza dei cittadini?
L’interesse della multinazionale, l’interesse della grande distribuzione non è l’interesse collettivo, a dispetto dei famosi slogan sui prezzi, a dispetto delle battaglie sulle campagne promozionali a suon di sconti.
La pretesa, con margini di guadagno che si aggirano, per i più fortunati, a poco più del 2% lordo, è stata quella di dover partecipare alle campagne sconto, con il dimezzamento del margine, mentre la testa della piramide, continuava a produrre redditi.
La prevaricazione è concreta, tangibile, la pseudo-concorrenza è stata fatta sulla pelle dei gestori, a dispetto delle ripetute segnalazioni e denunce del mondo sindacale ed ha permesso alle Compagnie di incrementare i profitti, facendo leva su rendite di posizione, non subendo contrazioni del volume d’affari, diversamente da chi ha visto, dimezzare i propri margini di guadagno ed aumentare le spese da investimento.
Riteniamo di non poterci accontentare del silenzio dei Governi, di non poterci accontentare del fatto che gli accordi sottoscritti a livello nazionale, tra le rappresentanze dei titolari della licenza di esercizio e le rappresentanze dei titolari della Concessione non offrono da soli sufficiente garanzia alle parti più deboli della trattativa.
Si chiede pertanto un intervento forte da parte del Governo, l’assistenza e l’appoggio in un percorso di emancipazione che possa dare un senso alle recente legislazione, svilita e vilipesa da mercati che pretendono di fare concorrenza sfruttando la posizione, già compromessa, del Gestore, contraente debole nella trattativa con le multinazionali del petrolio.
Si chiede di avviare un percorso che permetta di ottenere la tutela della posizione, contrattualmente debole del Gestore, attraverso l’adozione di norme che permettano di ricorrere ad un contratto di salvaguardia, stipulato a livello nazionale, che blocchi le puntate al ribasso dei contraenti forti, che garantisca ai micro-imprenditori della distribuzione carburanti, “un’esistenza libera e dignitosa”, e dal quale partire per ottenere una regolamentazione del settore più giusta e più equa, che tenga in debito conto il ruolo di volano economico-produttivo della Categoria.
La legislazione di settore già prevede la stipula di contratti collettivi aziendali, una procedura negoziata che assicuri, in un sistema concorrenziale, che le regole del gioco siano chiare e trasparenti, e che le parti siedano allo stesso tavolo per contemperare i propri interessi.
Solo di recente, però, si è preso atto dell’ineffabile differenza di posizione tra le parti che si trovano a contrattare attorno allo stesso tavolo.
Solo con il c.d. Decreto Liberalizzazioni si è preso atto della posizione debole del gestore, prevedendo, all’Art. 18 che gli accordi sottoscritti tra organizzazione di rappresentanza dei titolari di autorizzazione o concessione e dei gestori, rivestite dell’ufficialità tramite il deposito presso il Ministero dello Sviluppo Economico, devono assicurare al gestore condizioni contrattuali eque e non discriminatorie per competere nel mercato di riferimento e, ancora, che i comportamenti posti in essere dai titolari degli impianti allo scopo di limitarne le facoltà previste dalle nuove norme costituiscono abuso di dipendenza economica ai sensi dell’Art. 9 della Legge 18/06/1998 n. 192.
Questi dati, passati, purtroppo, in sordina permettono di comprendere come il legislatore stia, lentamente, prendendo coscienza di quale sia la posizione del gestore nel contesto economico in cui opera e si appresti a fornire delle forme di tutela, per quanto embrionali, dell’operatore.
In particolare, il riferimento all’abuso di dipendenza economica che, per espressa definizione normativa è “la situazione in cui una impresa sia in grado di determinare, nei rapporti commerciali con un’altra impresa, un eccessivo squilibrio di diritti e di obblighi”, permette di agire in maniera più incisiva nei confronti dell’ostruzionismo degli altri agenti della contrattazione collettiva, attraverso la sollecitazione dei poteri dell’Autorità Garante delle Concorrenza e del Mercato (c.d. ANTITRUST).
Partendo da questo riconoscimento, occorre fare di più.
Il Decreto Legislativo 32/1998 già prevedeva la necessità della contrattazione collettiva, e la Legge 57/2001 ha rincarato la dose, prevedendo, in conformità alla normativa comunitaria, la necessità degli accordi aziendali, ma solo adesso è possibile fare di più, solo adesso è possibile rifarsi al concetto di “abuso di dipendenza economica”.
Solo adesso, in altre parole, è possibile ed auspicabile dare un senso alla contrattazione collettiva, alla luce della disciplina di tutela delle posizioni contrattuali deboli per insistere
sulla necessità di introdurre norme che prevedano la stipula di contratti di salvaguardia, l’applicazione di un contratto, stipulato dalle Associazioni che faccia da “madre” ai singoli contratti aziendali e che serva da paracadute per i casi in cui le controparti puntino i piedi e facciano ostruzionismo.
Occorre stimolare l’azione del Governo e del Parlamento perché inseriscano, in seno alla disciplina dei contratti di settore, anche con riferimento alla legislazione in tema di liberalizzazione del mercato, la previsione di un sistema di salvaguardia del contraente debole, attraverso la previsione, quanto più possibile specifica, di un contratto di salvaguardia per tutti quei soggetti che si trovano costretti a condizioni contrattuali inique e spregevoli.
Occorre introdurre una norma che integri la previsione dell’Art. 19 della Legge 57 del 2001 e dell’Art. 18 del Decreto Liberalizzazioni introducendo, nella contrattazione collettiva, la previsione di un contratto di salvaguardia, o, quanto meno, di una disciplina minima dei rapporti economici tra gestore e titolare dell’autorizzazione o concessione (Retista, Compagnia petrolifera) che salvaguardi l’equa retribuzione dell’attività del contraente debole, che riconosca il giusto margine di ricavo a chi, di fatto, opera sulla strada e si espone, in prima persona ai rischi, che amplii il potere contrattuale del gestore stesso.
Un contratto di salvaguardia, infatti, permetterebbe di agevolare anche la trattativa dell’organizzazione di categoria con la singola Ada, rendendo più semplice il processo di definizione dei dettagli.
Consapevoli delle difficoltà insite nel procedimento legislativo e dell’inevitabile allungamento dei tempi, occorre, nelle more dell’emanazione della normativa che chiediamo, procedere ad un totale ripensamento del nostro atteggiamento alla contrattazione collettiva.
Forti della normativa sull’abuso di posizione di dipendenza economica, che garantisce anche il singolo, indipendentemente dall’azione collettiva, occorre insistere al tavolo delle trattative, su livelli minimi di tutela, su clausole contrattuali che impediscano azioni speculative come quelle a cui abbiamo assistito nelle varie campagne di scontistica promozionale, prevedendo espressamente, nei prossimi contratti collettivi, che le campagne promozionali a tappeto non possano incidere sul sacrosanto margine di guadagno del gestore, con il quale, tra l’altro, si garantiscono i livelli occupazionali ed un’esistenza “libera e dignitosa” a migliaia di famiglie.
Occorre, al contempo, concentrare l’attenzione dell’opinione pubblica, dei consumatori, degli agenti politici sulla questione della dipendenza economica del gestore e far leva su questo dato per far comprendere come un sistema più giusto e più equo necessiti della previsione di forme di salvaguardia.