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Faib e Fegica presentano al Senato il "Dossier Prezzi", con Federconsumatori e Adusbef. Tanta confusione sulla pelle di gestori e consumatori.

Al centro della discussione il caso Eni e le forti proteste contro l’aumento delle accise che spingerà l’inflazione. Illustrata l’interrogazione parlamentare sul pricing Eni.

La presentazione del “Dossier Prezzi” al Senato, a cura di Faib e Fegica con Federconsumatori e Adusbef, avviene in concomitanza con la diffusione dei dati sull’andamento dell’inflazione.
L’inflazione desta preoccupazione – hanno denunciato i promotori della conferenza stampa – ma le cause non sono tutte esterne al nostro Paese. Il caro-petrolio e il vizietto di caricare sulla benzina ogni esigenza è ormai un virus che si trasmette a tutta la filiera dei prezzi e li spinge in alto. Risulta ancora più incomprensibile l’accise pro-immigrati, dopo quella sullo spettacolo, che finirà per far salire alle stelle i prezzi di benzina e gasolio. Le cause del rialzo sono chiare e dovrebbero suggerire un radicale mutamento di atteggiamento. E’ legittimo chiedersi ad esempio se sul fronte energetico non debba cessare – hanno detto gli organizzatori – il tempo delle vacche grasse per lo Stato e i petrolieri. L’effetto sull’inflazione di questo ulteriore aggravio di di accisa ed iva, pari a 6 centesimi al litro delle benzine (cioè circa il 4% del prezzo attuale), si può stimare, in via prudenziale, che avrà a regime – dopo 6 mesi – un impatto sull’inflazione complessiva pari ad almeno il 5%, cioè 1 punto e mezzo di decimale. E il contributo inflativo è tutto a carico del Governo che tutti i giorni ci rivolge la predica sugli sforzi per contenere l’inflazione. Chissà cosa ne penseranno a Bruxelles e cosa ne penserà la Corte dei Conti che non più tardi di qualche settimana fa ha aperto un indagine conoscitiva sull’ “Evoluzione e raffronti nell’incidenza della fiscalità nel prezzo dei prodotti petroliferi”.
Siamo di fronte ad un provvedimento passato sotto silenzio dalla grande stampa generalista e dai media televisivi, una stangata che peserà – solo nei prossimi 6 mes i-sulle famiglie italiane per 750 milioni di euro, e avrà effetti a cascata su tutto il sistema Italia.
Sull’aumento delle accise sono allo studio iniziative di protesta con altre associazioni di categoria e della società civile.
Durante la conferenza stampa è stato presentato il “Dossier Prezzi”.
A questo proposito è stato annunciato che il 14 luglio scatterà la chiusura di tutti gli impianti Eni di rifornimento di carburanti, sia sulle strade ordinarie che sulla rete autostradale. Ad annunciarlo, i presidenti della Faib, Martino Landi e della Fegica, Roberto di Vincenzo, sottolineando come la protesta nasca contro “la politica dei prezzi dell’Eni, superiori alla media: 1 centesimo in più rispetto agli altri distributori e 10 centesimi in più rispetto alle pompe bianche”. Lo stop, che partirà dalle 13.00 del 14 luglio fino al mattino dopo, comprenderà anche il self service e sarà accompagnato da manifestazioni ed assemblee su tutto il territorio nazionale “per far conoscere a tutti – spiegano i gestori – la politica praticata dall’Eni”. Le due associazioni hanno puntato il dito anche contro la “mancanza di un prezzo di riferimento: oggi il ministero dello sviluppo economico non è in grado di sapere il prezzo della benzina Eni”.
“Intraprenderemo iniziative di contrasto verso questa azienda – hanno detto il presidente Faib, Landi e quello Fegica Di Vincenzo – augurandoci che possa rivedere le sue posizioni”. “Eni è di gran lunga l’azienda leader nel settore petrolifero italiano – ricordano Faib e Fegica – la sua quota di mercato di prodotti petroliferi venduti è superiore al 30%, più del doppio della seconda azienda in graduatoria”. Considerando che “ha circa 4.400 punti vendita, ossia meno del 18% dei circa 25.000 che compongono la rete distributiva italiana, l’indice (teorico) di efficienza non ha alcun paragone. Il controllo sul mercato e sulla movimentazione dei prodotti risulta inoltre particolarmente importante se si prende in considerazione il comparto della raffinazione e soprattutto della logistica”. E ancora: “il 30% del pacchetto azionario di Eni è sotto il diretto controllo pubblico attraverso il ministero dell’economia”. Tutti questi elementi, osservano i gestori, “indurrebbero ragionevolmente a far ritenere Eni, in forza delle normali dinamiche del mercato, l’operatore nelle condizioni di poter offrire le migliori condizioni di prezzo sia rispetto agli altri marchi petroliferi, sia rispetto agli impianti ‘no logo’ per larghissima parte riforniti da Eni”. Ed invece nelle ultime settimane il prezzo Eni è più alto degli altri competitor, un bel modo di essere azienda a controllo pubblico.

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