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ENI, finisce l'era Scaroni. Arriva il binomio Descalzi-Marcegaglia

Paolo Scaroni, vicentino classe 1946, era Amministratore Delegato di ENI dal giugno 2005. Nove anni, un lungo periodo al vertice della più importante Società italiana di energia, al centro delle questioni strategiche ed energetiche del Paese. Un ruolo difficile per le implicazioni di politica internazionale, tra relazioni diplomatiche e questioni di sicurezza, giocato entro scenari complessi nei diversi continenti.
Eni, a cui è affidata una buona parte della sicurezza energetica del Paese, ha operato in questi anni nei principali centri petroliferi mondiali e in quelle aree che si sono rivelate tra i principali teatri di crisi internazionali: la Libia di Gheddafi, la Russia di Putin, il Kazakistan di Nazarbayev.
Con Scaroni all’Eni la rete carburanti italiana ha conosciuto una fase di grandi contraddizioni. All’accelerazione dei processi di ammodernamento delle stazioni di servizio, sostenuti da imponenti investimenti di comunicazione, come mai registrati prima e di rebranding, con il superamento del glorioso marchio AGIP, ha fatto riscontro l’impoverimento delle gestioni e i tagli al personale delle aree di rifornimento. Negli stessi anni i redditi degli operatori della rete vendita carburanti a marchio ENI – in linea con il resto del mercato – si sono dimezzati e le relazioni industriali con la rappresentanza dei gestori si sono complicate.
L’ultimo accordo economico normativo siglato tra la Compagnia e le organizzazioni risale al 2009 ed è scaduto nel 2011. Fu quello un passaggio importante in cui si cercò – alla presenza dello stesso Scaroni – di stabilire una speciale partnership mai realizzata, come le tante previsioni sottoscritte. Un insieme di appuntamenti mancati.
Oggi la rete ENI perde litri, quote di mercato, risorse finanziarie, considerazione reputazionale, nonostante la montagna di soldi spesi in pubblicità, così imponente da sopravanzare la stessa remunerazione dell’intera rete vendita, mentre le relazioni con le Federazioni dei gestori non trovano sbocchi utili a rilanciare la politica della Compagnia, impantanate in questioni tanto astratte quanto improducenti.
Al nuovo gruppo dirigente si pone innanzitutto l’obiettivo di assicurare meglio e bene la sicurezza energetica del Paese operando con profitto e lungimiranza nei diversi mercati mondiali.
Nella distribuzione dei carburanti occorre invece rivedere la politica della Compagnia e rilanciare il marchio sulla rete, recuperare un rapporto di speciale partnership con i gestori che sono il front office della grande multinazionale, la vetrina in strada della Compagnia. Per fare questo bisogna restituirgli una mission di guida del mondo petrolifero italiano e superare le rigidità che sin qui hanno bloccato ogni ipotesi di innovazione del quadro normativo e relazionale.