Più che al Foro italico ad assistere ad un match di tennis è come essere ad una partita di ping-pong, tanta è l’intensità degli scambi tra presunti fautori del mercato – a proprio uso e consumo – e autentici garanti dello stesso.
Le contestazioni dei primi- in materia di normativa regionale- sono alquanto risibili poiché – agitandosi sotto la bandiera del libero mercato- i ricorrenti, più che denunciare presunti ostacoli alla libera concorrenza, sembrano lamentare la mancanza della solita corsia preferenziale per essi stessi. Abituati in un mondo- quello della distribuzione- dove la GDO è più uguale degli uguali, i novelli profeti della concorrenza e del mercato hanno scoperto che per competere ci vogliono investimenti, risorse, professionalità e, cosa quasi insopportabile, il rispetto delle norme. E allora, anziché attrezzarsi, non si trova di meglio che contestarle, mettendole alla berlina di fronte al “Dio Mercato”, costruito a loro immagine e somiglianza, tagliato alla bisogna su misura per il loro business. Sbraitando ora a Bruxelles ora a Roma.
Di cosa hanno bisogno “Lor Signori” della GDO? Di una pompetta, una cosa piccola, senza piazzale, addetti, spazi di sicurezza, servizi, aree di manovra e di sosta, insomma di una pompetta con cui erogare qualche milione di litri di gasolio e benzina a buon mercato, come prodotto civetta per richiamare nei loro Iper e Super Mercati consumatori che servano a rilanciare le vendite, in modo da fargli pagare, sugli altri prodotti (e con gli interessi), quanto possono supporre di risparmiare sui carburanti. Una cosetta senza particolare impegno, da impiantare sull’area parcheggio, in tempo reale. Perché si sa che in economia il tempo è denaro. Chiedono, in fondo, solo di far business, come sono abituati loro, a modo loro. E invece gli tocca combattere con norme che chiedono spazi di sicurezza, rispetto delle norme urbanistiche, la previsione dei servizi, persino per i portatori di handicap, la messa in sicurezza secondo la normativa stradale, ambientale sanitaria e antincendi. E, cercando di indirizzare lo sviluppo,( e cos’altro deve fare lo Stato? ) prevedono persino impianti GPL e metano. Tutta una cosa costosa e pallosa, insopportabile per lo sviluppo del business.
Come se non bastasse, adesso ci si mettono persino le Regioni: pretendono di programmare il territorio, di indirizzare lo sviluppo economico, di governare i cambiamenti, di favorire, in base alla legge 133/08, l’insediamento sul territorio dei servizi per la mobilità a favore del cittadino consumatore, la diffusione dei prodotti eco-compatibili per la tutela ambientale e il risparmio energetico tramite pannelli fotovoltaici.
In questo contesto- dove la centralità dell’interesse collettivo, per la GDO, è il loro business- appare solo un dettaglio che le Regioni siano entità costituzionali, parte integrante, e rilevante, dell’architettura statuale della “Repubblica (che) si riparte in Regioni, Province e Comuni”. Principi sanciti dai padri costituenti- all’indomani della caduta del fascismo e della proclamazione della Repubblica- per garantire la partecipazione alla vita democratica della comunità nazionale e disciplinare i vari settori dell’economia e della società in modo tale da garantire la salvaguardia degli interessi della più ampia comunità statale, assumendo al centro della propria sfera d’azione le esigenze di tutela e sviluppo delle popolazioni locali e dei territori.
A queste considerazioni, le ragioni di chi assume il business al centro del proprio operare prestano poca attenzione. Dal loro punto di vista c’è poco da aggiungere: il business è business, il resto sono chiacchiere. E tali debbono apparire il diritto pubblico e il diritto alla mobilità di chi abita le terre alte, il diritto all’assistenza sul pv dei disabili e degli svantaggiati sociali, le necessità di servizio sulle aree, l’assistenza all’automobilista, la necessità di garantire adeguati spazi per le manovre in entrata e in uscita, gli spazi per la sosta.
Questo non è nella logica di chi persegue il profitto e pretende di piegare le norme alle sue esigenze di impresa.
Le Regioni sono invece Enti di Governo territoriale. Giustamente debbono operare nell’interesse collettivo e della collettività, hanno una visione ampia e complessa dell’interesse generale, lavorano per lo sviluppo dell’economia e della società, per la crescita della vivibilità e del benessere, promuovono le migliori condizioni di vita, la tutela della salute e dell’ambiente, delle città e degli ambienti rurali.
Chiediamo: è’ strano che vogliano ridurre l’inquinamento e favorire carburanti a basso impatto ambientale?; è strano che si occupino della tutela ambientale e della salute dei cittadini?
E’ evidente che per qualcuno il business viene prima di questi valori irrinunciabili di qualsiasi collettività civile.
Diverso è l’angolo visuale dell’Antitrust. Esso è preposto in modo specifico, dettagliato, particolareggiato ad uno degli aspetti della vita economica collettiva rappresentato dalla tutela della concorrenza. Sotto questo punto di vista, fa bene ad analizzare, indagare, segnalare ciò che, secondo la sua particolare visione, si presta a valutazioni critiche.
Ciò che contestiamo è che non si valuti – da parte di un’ Autorità pubblica – prestigiosa e rispettata, l’ assoluta coerenza delle previsioni normative, emanate nel rispetto delle prerogative costituzionali, con la piena e corretta tutela della concorrenza tra operatori. Infatti nella normativa vigente in materia di distribuzione carburanti non esiste una riserva di concorrenza o un’ area di vantaggio competitiva costruita per chicchessia. Le norme fotografano una situazione, la disciplinano, la orientano per lo sviluppo, non agiscono retroattivamente, secondo condivisi principi di civiltà giuridica. Il legislatore nazionale e regionale opera, in una situazione data, in favore di una evoluzione auspicata per il bene comune, con direzione certa e graduale.
Notiamo poi che mentre c’è sempre una veloce corrispondenza con le lagnanze dei signori della GDO – uno dei grandi poteri forti di questo paese – non c’è altrettanta attenzione su altri temi di ben altra importanza in termini economici e sociali.
Sui servizi locali, per esempio. Sull’informazione e il duopolio televisivo. Sui trasporti e sulle telecomunicazioni. Ma anche in materia di credito e assicurazioni. O sulla spesa alimentare. Questa pesa sui consumi degli italiani per il 17%. Chi controlla questa massa enorme dei consumi e le relative quote di mercato dei distributori? Ci sono operatori che agiscono in misura prevalente in questo mercato? Quali sono le quote a livello regionale? Che benefici portano alla collettività? Visto che la GDO controlla il 75% della spessa degli italiani come mai lo “stacco Italia” in questo campo non accenna a rientrare? Dove sono finiti i mirabolanti risparmi promessi negli anni 80 e 90 agli italiani, in attesa dell’eldorado della distribuzione cosiddetta moderna? Come sono regolati i contratti d’acquisto della GDO verso la PMI dell’industria? Quali sono i termini di pagamento praticati? Non si ravvisano abusi di posizione dominante e di concorrenza sleale?
E, arrivando alla distribuzione carburanti, l’Antitrust non ha niente da dire in materia di integrazione verticale dei pochi operatori petroliferi che si dividono il mercato? E’ normale che chi estrae petrolio, poi lo raffini, dia luogo allo stoccaggio, controlli la logistica e poi provveda alla distribuzione, stabilendo a
chi vendere, come vendere, quando vendere, a che prezzo vendere? E’ normale che gli operatori della distribuzione, operanti in regime di libero mercato e in qualità di imprenditori debbano- obbligatoriamente – comprare da un solo fornitore che stabilisce come e quanto comprare e dove come e quando vendere? E’ tutto normale?
Noi pensiamo di no e ci attendiamo l’apertura di un dossier che rilanci la necessità -legislativa- della separazione della rete vendita.