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Intervista a Martino Landi, Presidente Faib, per Oil&Nonoil:

La sfida del futuro si fonda su tre aspetti: lotta all’illegalità, razionalizzazione della rete e ammodernamento delle strutture e delle aree. 
  

1) Quali conseguenze ha avuto sui vostri associati la crisi Covid-19?

R. Per il nostro settore ha avuto un effetto devastante. Questo sia per la contrazione delle vendite, che nel periodo del lockdown si sono ridotte del 90%, sia per l’effetto sommatorio che questa crisi ha avuto per la distribuzione carburanti.

Questa crisi ha colpito un settore già fortemente ammalato, abbandonato a sé stesso dai proprietari degli asset, che evidenzia una mancanza di strategia industriale, con alcune multinazionali del petrolio che si sono ritirate dal nostro mercato o hanno deciso di utilizzarlo solo ed esclusivamente come terminale vendita, come nel caso della Esso. L’abbandono dei grandi gruppi oil ha alimentato la polverizzazione della rete e il protagonismo di nuovi operatori indipendenti, spesso destrutturati e senza strategie, privi di scrupoli, pronti ad afferrare- e sfruttare- il qui ed ora. Alla fine di questo processo involutivo si sono innescati meccanismi atti a favorire una illegalità sempre più diffusa e variamente articolata- dalle truffe sull’evasione iva all’importazione illegale di prodotti petroliferi- allo sfruttamento degli addetti sugli impianti tramite le pratiche di dumping contrattuale e di aggiramento della normativa di settore, in un momento di grande sofferenza causata da contrazioni di vendite significative. Si è di fatto innescato quella concorrenza sleale che ha sottratto risorse al settore e penalizzato gli operatori più strutturati, che potrebbero investire per ammodernare una rete che non è più funzionale alle sfide del futuro.

Oggi siamo in una fase delicata, in cui, nonostante la rimozione delle limitazioni alla libera circolazione, i volumi non sono ancora tornati a quelli ante pandemia e si sente la necessità improrogabile di investire in innovazione tecnologica e sui carburanti alternativi nel rispetto dell’ambiente e della qualità dei prodotti.

In questo contesto, i bilanci dei nostri associati, già in difficoltà per le perdite di erogati, hanno visto azzerarsi le vendite nel periodo di chiusura e crescere le voci di gestione, causati da normative i cui costi sono stati scaricati tutti sulle nostre spalle per far fronte alla lotta all’illegalità: vedasi fatturazione elettronica, trasmissione telematica dei corrispettivi, nuove forme di pagamento elettronico, sempre più diffuse, che hanno gonfiato a dismisura le commissioni bancarie.  Tutto questo in assenza di accordi che regolano e aggiornano le condizioni economiche della categoria che sconta un abuso di posizione dominante imposto dai titolari degli impianti, sempre più propensi ad aggirare la normativa di settore con il bene placido di un Governo distratto e non sensibile alle continue denunce di sfruttamento che si traducono in evasione contributiva e fiscale con danni erariali ingenti.

2) Quali sono le prospettive a breve termine, anche alla luce di possibili fondi provenienti dall’Europa?

R. Al momento non vediamo all’orizzonte segnali che ci possono tranquillizzare per una ripresa duratura che ci consenta di superare questa fase. Non siamo ancora usciti dal rischio pandemia, i consumi non decollano e non potranno tornare ai livelli anti Covid. Il turismo continua a soffrire a causa della mancanza di stranieri; le abitudini degli italiani stanno cambiando anche a seguito del lavoro in smart working. Lo sforzo fatto dal governo italiano, nel mettere in campo risorse destinate sia alle imprese sia ai lavoratori, non è e non sarà sufficiente per far ripartire i consumi. Certamente i fondi messi a disposizione dall’Europa potranno fare la differenza, ma i risultati di questi interventi potranno essere apprezzati negli anni futuri, mentre questo settore ha bisogno di interventi strutturali immediati, altrimenti sopravvivranno solo coloro che si muovono fuori dai confini della legalità, pronti ad abbandonare questo mercato senza tanti scrupoli, sfruttando l’assenza di regole e di un governo indifferente verso un settore che garantisce la mobilità di cittadini e merci. Quella dei fondi europei se gestita correttamente dal Governo secondo il principio della neutralità tecnologica ed indirizzata con lungimiranza potrebbe favorire un processo di riposizionamento del sistema della mobilità pubblica e privata in direzione di un’energia pulita, tracciata e sostenibile che potrebbe trovare nelle nostre aree di servizio l’allocazione naturale.

3) Quali iniziative sono state messe in atto e quali misure sarebbero necessarie per incoraggiare la ripresa e tutelare imprese e lavoratori del settore?

R. Dobbiamo dare atto al Governo di aver messo a disposizione, non solo di questa categoria ma di tutto il mondo produttivo, risorse mirate nel breve periodo per evitare chiusure forzate. Dal riconoscimento della cassa integrazione straordinaria agli interventi a fondo perduto a cui i gestori hanno potuto accedere, passando da un rinvio delle scadenze fiscali per garantire quella liquidità che in questo periodo è venuta meno. Naturalmente si poteva fare di più e meglio, tutti interventi di corto respiro che in ogni modo non essendo replicabili non danno certezze sul futuro del settore. Oggi il Governo, per fare la differenza, dovrebbe finalmente rioccuparsi di questo settore e confrontarsi con le nostre proposte. Innanzitutto, con quella di una seria razionalizzazione della rete con la chiusura di almeno otto/dieci mila impianti tra incompatibili e marginali, a basso erogato e senza prodotti eco compatibili, liberando risorse da distribuire sulla rete rimanente che possa permettere investimenti in innovazione sia tecnologica che ambientale, con prodotti alternativi e meno inquinanti. Non possiamo più permetterci di tenere in vita impianti con erogati irrisori che non giustificano la loro sopravvivenza, se non con forme di approvvigionamento opache.

Dal nostro punto di vista, la sfida del futuro si fonda su questi tre aspetti: lotta all’illegalità, razionalizzazione della rete e ammodernamento delle strutture e delle aree.

Solo con uno sforzo comune di tutti gli operatori del settore, che devono rimettere al centro quel senso di responsabilità e correttezza perduta, possiamo uscirne indenni, altrimenti non ci sarà futuro per nessuno e la rete non garantirà più quei servizi alla mobilità indispensabili in un paese moderno. Infine, all’interno di questo processo di rinnovamento, si devono ridisegnare gli spazi di autonomia gestionale degli imprenditori della distribuzione carburanti, abbattere quelle barriere tra  gestori e compagnie petrolifere che  impediscono la liberazione delle energie e delle capacità imprenditoriali e professionali, per realizzare la stazione del futuro aperta a tanti altri servizi che il consumatore italiano ancora aspetta di apprezzare. Questo significa una rivisitazione dell’architettura dei prezzi e dei modelli gestionali delle aree. Sono i temi sui quali con fatica stiamo lavorando.