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Nuove tipologie contrattuali, l'industria petrolifera getta la maschera. Le Associazioni dei gestori presentano la loro proposta equilibrata e responsabile

Mentre continua la pesante flessione dei consumi petroliferi italiani che nel mese di giugno 2012 sono ammontati a circa 5,5 milioni di tonnellate, con una nuova diminuzione dell’8,4% (-505.000 tonnellate) rispetto allo stesso mese del 2011, sulla rete si consuma una crisi sempre più pesante, con le Compagnie petrolifere in ordine sparso.
Emerge un quadro disarmante con un industria petrolifera che se da un lato appare senza strategia, se non quella del tutti contro tutti, dall’altra appare determinata nel suo complesso ad attaccare i diritti dei gestori e scaricare la crisi sull’ultimo anello della filiera.
Fa da contraltare uno Stato famelico, incapace di porre sotto controllo la spesa pubblica e perciò alla spasmodica ricerca di nuove risorse ed altri soldi, facendo buon viso ad iniziativa che lo tolgono d’impaccio. Ed infatti le stesse polemiche sul caro benzina e sul caro accise sembrano magicamente rientrate, assopite dalle mirabolanti campagne di sconti del fine settimana.
La recente iniziativa di Up che, dopo settimane di incontri, prende le mosse con una nota ufficiale, indirizzata al Governo e alle associazioni, per dire in sostanza – ma vorremmo tanto sbagliarci – che non può esserci negoziazione tra Associazioni e Compagnie sulla tipizzazione delle nuove tipologie contrattuali, in attuazione della Legge 27, Art. 17, la dice lunga sulla reale volontà dell’industria petrolifera nel suo complesso di confrontarsi con le Associazioni sindacali.
L’Up sostiene che specifici contenuti tipizzanti dei contratti (aspetti economici, durata minima, presupposti del recesso…) sarebbero in contrasto con la ratio della Legge di liberalizzazione e la concorrenza: un’interpretazione contra legem, semplicemente inaccettabile.
In sostanza, le Compagnie vorrebbero saltare la negoziazione con le Associazioni di categoria e andare direttamente dai gestori, presi uno per uno, forti del loro potere condizionante e dominante.
E’ evidente lo stravolgimento del lavoro del Parlamento e della Legge appena varata.
Si vuole stravolgere il quadro delle regole perché si ritiene facile avere l’adesione quando si è in presenza di un potere contrattuale abnorme, quando si ha di fronte operatori indebitati con le Compagnie e con le banche o non si lasciano alternative; quando si aggirano le Leggi dello Stato e le prerogative democratiche e i diritti sindacali.
Il sindacato, sebbene in una fase assai complessa e delicata della sua storia, non avallerà queste scelte scriteriate.
Il sindacato rimane strettamente ancorato ai propri iscritti, scende sul terreno più aspro del confronto diretto e riparte esattamente da là dove sono i gestori. E’ del tutto evidente che è in atto un attacco senza precedenti al ruolo e alla funzione del sindacato. Si vuole ridimensionare la funzione contrattuale delle Associazioni per avere mano libera, con un gestore isolato e solo, senza solidarietà e senza dignità contrattuale, senza tutele e senza diritti.
Il cesarismo non tollera il confronto, ma generalmente ha fatto sempre una brutta fine.
L’architettura del settore, fondata sul comodato d’uso e sul vincolo d’esclusiva, è bene ricordarlo, è un insieme che diventa ogni giorno più fragile: se salta un anello, seguono tutti gli altri; perché nessuno può illudersi che possa continuare l’allegra commedia di un settore oligopolistico, verticalmente integrato, che arriva alla rete con l’obbligo d’esclusiva, concertando prezzi e modalità di rilevazione, utilizzando manovalanza con un regime di diritti feudali, senza assistenza sanitaria, previdenziale, infortunistica, di sicurezza. Siamo ben oltre la mezzadria.
La verità è che stanno portando il settore alla curva finale.
Ecco perché la contrattazione a tutti livelli è ferma da mesi; si vuole negare il diritto all’equo compenso a lavoratori autonomi che si preferisce tenere legati da un insieme di ricatti.
Inoltre, con meccanismi di finanziarizzazione e frammentazione della remunerazione del lavoro, rendono inesigibile il diritto all’equo compenso e condannano i gestori e i 120 mila addetti al fallimento.
Il dramma è che ciò rischia di accadere nel silenzio colpevole del Governo, ingabbiato in contraddizioni profonde.
A fronte di questa situazione, le Associazioni di categoria rendono nota la lettera già inviata al Governo sulla riforma del settore, imperniata intorno alla proposta di rinnovo delle tipologie contrattuali, autenticamente riformatrice e attenta agli equilibri contrattuali delle parti.
E’ evidente che non può sfuggire alla considerazione comune, e neanche delle forze parlamentari e di Governo, che siamo in un ambito contrassegnato da uno squilibrio delle volontà contrattuali che è abissale.

 

Leggi la lettera di Faib, Fegica e Figisc

 

Leggi la lettera dell’Unione Petrolifera