Dai Convegni organizzati in questi giorni dal Rie a Roma e dalla Regione Piemonte a Torino emergono i tratti di una rete distributiva in una forte fase involutiva, come del resto denunciato dalla Giunta Faib del 29 novembre e dall’Assemblea dei gestori di Torino del 30 novembre.
La fotografia aggiornata a questo fine 2016 evidenzia il permanere di una polverizzazione della rete che non ha eguali in Europa.
Con 21.000 punti vendita, la rete italiana ha un erogato medio di 1.345mila litri, ben al di sotto degli indici di redditività media registrati nel resto d’Europa. Alla polverizzazione della rete corrisponde una identica dispersione del valore dei loghi con circa 130 marchi, di cui il 50% di proprietà dell’industria petrolifera e il 50% dei privati. In questo scenario l’industria petrolifera abbandona progressivamente il mercato con chiusure e cessioni di pacchetti rete, meno 4.000 punti vendita in questi ultimi anni.
Ulteriore dato allarmante è l’indice di anzianità degli impianti con punti vendita vecchi, con più di 40 anni, che riguarda il 40% della rete. In Piemonte oltre il 25% degli impianti eroga meno di 400mila litri l’anno. Mentre 7/8mila impianti sono quelli che andrebbero chiusi per incompatibilità e inefficienze e non vengono avviati allo smantellamento per i costi di bilancio di chiusura e di bonifica, in virtù del fatto che la frammentazione dei soggetti privati ha un indice del 60%. Dati che non mancano di riflettersi su una concorrenza selvaggia e su un’illegalità diffusa che giunge – secondo più fonti – ad oltre il 10% della domanda.
A fronte di ciò continua a valere la considerazione che, nonostante i dati allarmanti rispetto ai sistemi distributivi europei, di minori dimensioni, più strutturati ed efficienti, il sistema della distribuzione carburanti italiana assicura la mobilità del Paese, sia pubblica che privata e industriale, con particolare riguardo al trasporto delle merci su gomma, al presidio del territorio, alla sicurezza in tante aree del Paese; un reale servizio di distribuzione e responsabilità sociale diffuso, che assicura lavoro ancora a migliaia di piccoli imprenditori per oltre 100mila occupati; senza contare che almeno per i prossimi 2 decenni – ed anche oltre – i carburanti sono senza alternativa credibile per la mobilità di medio lunga percorrenza. L’incapacità pubblica di non essere intervenuti almeno a chiudere gli impianti incompatibili ha contribuito a far scattare per l’ennesima volta la procedura di infrazione da parte dell’Europa al nostro Paese per l’inquinamento eccessivo delle polveri sottili in gran parte del territorio italiano, consentendo a tanti di questi impianti di lavorare in assenza dei requisiti minimi a tutela dell’ambiente, sia nell’aria che respiriamo sia del sottosuolo, oltre ad alimentare un’altra forma di illegalità sulla sicurezza del codice della strada mettendo a rischio l’incolumità dei cittadini.
Ad oggi però, in virtù delle cose dette, questo sistema, per i dati sopra esposti, sta per saltare, ovvero scivola giorno dopo giorno nella inefficienza e improduttività complessiva, con conseguenze drammatiche per il gli effetti economici e sociali in termini di servizio.
Siamo difatti, di fronte ad una struttura completamente depauperata e inefficiente, in cui si sono fortemente contratti i consumi, ridotte le marginalità, amplificando le forti improduttività e incapacità di investimento. Una rete in cui si è diffusa l’illegalità, sia in termini di quantitativi dei prodotti introdotti in evasione di IVA ed accise, sia in termini qualitativi (gasolio tagliato con oli combustibili esenti da imposte di fabbricazione), sia in termini di regole di sistema. Con effetti negativi sui prezzi e la redditività, questo si manifesta in termini di concorrenza sleale e dumping contrattuale, producendo una contrazione della redditività per il sistema che si riflette sui mancati investimenti, anche in termini di innovazione dei prodotti meno inquinanti. Come altrimenti si spiega il fatto che improvvisamente il prezzo medio offerto al netto delle imposte statali, sulla rete distributiva italiana è passato da uno stacco medio che oscillava dai 3 ai 5 centesimi in più rispetto alla media EU? oggi siamo il Paese più efficiente con un meno 1/2 cent, fermo restando la mancata razionalizzazione e riduzione dei costi di sistema ?
Manca di fatto un sistema di regole e controlli sulla qualità dei carburanti meno inquinanti, si schiacciano e si precarizzano i rapporti con le gestioni degli impianti stradali di carburante, violando apertamente e in modo diffuso norme di settore sugli affidamenti e i diritti acquisiti, nel silenzio degli operatori strutturati e delle Istituzioni governative, MiSE in testa.
L’effetto sulla gestione economica della rete si manifestano estromettendo forzatamente le stesse gestioni dagli impianti per far posto all’automazione, spesso mascherata con operatori precari, ricorrendo ad una contrattualistica irrituale ed illegale, operando il dumping contrattuale per conseguire vantaggi competitivi impropri, con un effetto drammatico in termini di redditività e occupazione (-15.000 occupati negli ultimi cinque anni), che ha ridotto le gestioni rimaste sul lastrico.
A fronte di ciò dai confronti di Roma e Torino emerge che per rilanciare il settore e ridare legalità occorre riaffermare il rispetto delle regole del settore, a tutti i livelli, e dare spinta all’approvazione del DDL Concorrenza e alla razionalizzazione della rete.
Occorre partire dai contratti in affidamento e dalla negoziazione con le Parti Sociali, per giungere al diritto ad un prezzo di vendita equo e non discriminatorio, affermando nel contempo il diritto al riconoscimento condiviso di un margine necessario a sostenere la distribuzione carburanti, anche riducendo costi eccessivi e che impropriamente gravano sulle gestioni degli impianti – come le carte di credito e debito. Ciò potrà favorire uno sviluppo qualitativo e commerciale degli impianti e intensificare l’azione di contrasto dell’illegalità della pratica di concorrenza sleale e di controllo della qualità certificata dei prodotti immessi al consumo.
Si delinea in questo processo la necessità di favorire cicli di strutturazione dei soggetti imprenditoriali che operano nel settore, favorendo anche forme di aggregazione per produrre economie di scala, anche gestionali e l’incentivazione al ricorso all’introduzione di prodotti più ecologici che consentano di contribuire a contrastare l’inquinamento urbano.
Come si comprende dalle conclusioni dei diversi momenti convegnistici, osservati dal nostro punto di vista, risalta in modo inequivocabile una latitanza prolungata delle Istituzioni governative.
Da ciò Faib fa discendere la necessità di aprire subito una vertenza nazionale unitaria delle Associazioni dei gestori con il Governo, sostenuta con azioni di mobilitazione sul territorio, assemblee pubbliche, manifestazioni, finalizzata ad aprire un Tavolo di crisi in cui affrontare le varie problematiche evidenziate con tutta la filiera a partire da Unione Petrolifera e da Assopetroli.