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Riforma della distribuzione carburanti: contributo del Vice Presidente Faib Stello Bossa, Presidente Regionale dei gestori della Sicilia

La crisi dei consumi, la difficoltà della rete, le complicazioni istituzionali sullo sbocco da individuare per il rinnovamento della distribuzione carburanti mi spingono a portare un contributo al dibattito sulla possibile riforma della rete.
Voglio, innanzitutto, come presidente regionale della Faib, sottolineare che mi sento orgoglioso del fatto che la massiccia adesione dei gestori siciliani allo sciopero di settembre abbia costretto il governo a riaprire il tavolo di trattativa. I temi che dovremo discutere sono sempre i soliti: i contratti di gestione degli impianti; il settore non-oil; gli impianti ghost e il fondo di indennizzo.
Le trattative crediamo che saranno molto lunghe e articolate. Da più di un decennio sentiamo parlare di liberalizzazioni, di ristrutturazioni del settore e aspettiamo risposte. Intanto i nostri margini di guadagno si abbassano ulteriormente, i nostri rischi aumentano e la certezza di un futuro per noi e i nostri dipendenti diminuisce.
Vado per argomenti

La liberalizzazione e il potere delle compagnie
Nel mercato attuale le compagnie fanno il bello e il cattivo tempo. La contrattazione di tipo verticale, imposta dopo la liberalizzazione, fa sì che la concorrenza ricada sui gestori. Secondo i manager delle compagnie dovremmo essere noi a fare la concorrenza, come dimostra la nota questione del -10 dell’Eni, con contributo a carico del gestore. In verità quei pochi centesimi a litro che abbiamo come guadagno dobbiamo quasi elemosinarli alle compagnie, che hanno invece margini di guadagno che si aggirano sui 20 centesimi a litro. Secondo una logica di concorrenza, dovrebbero essere le compagnie, in quanto proprietarie degli impianti e fornitrici in esclusiva, a sostenere l’onere delle strategie di concorrenza (sconti, pubblicità e marketing). Invece, sempre più spesso, esse chiedono la partecipazione ai maggiori oneri ai gestori.
La contrattazione verticale fa si che ogni rinnovo contrattuale veda l’apertura di una cinquantina di tavoli differenti, con l’aggiunta delle trattative fatte con i retisti. La dispersione del confronto ha ridotto il nostro potere contrattuale, dopo il grande passo in avanti fatto negli anni novanta, quando avevamo un contratto unico. Ora torniamo indietro, le compagnie, e i retisti in particolare, ci impongono condizioni sempre più dure, che ci riesce sempre più difficile contrastare. Molto spesso ci sentiamo dire che o si fa cosi o si chiudono gli impianti, tanto le compagnie possono sempre aprire gli impianti ghost.
Ritengo che le nuove trattative con il governo dovrebbero risolvere la nostra atipicità. A noi toccano gli svantaggi dei lavoratori dipendenti e contemporaneamente quelli degli imprenditori. La nostra domanda è che si arrivi presto nuovamente a un’unica contrattazione collettiva e alla eliminazione definitiva dell’idea di impianti ghost.

Settore NON OIL
La liberalizzazione del settore della distribuzione dei carburanti è entrata in vigore quando si stava ristrutturando il mercato. I gestori hanno dato il loro contributo ma non hanno ricevuto quello promesso: infatti ci siamo trovati in una situazione inusuale, da un lato ci parlavano di concorrenza per il settore oil, che è stato liberalizzato, dall’altro la liberalizzazione del settore non-oil resta nelle agende dei politici e non viene portata mai a termine. E’ un tipico caso di strabismo e inosservanza dei patti. Negli altri paesi europei la situazione è differente. Ad esempio in Germania il guadagno dei proprietari delle stazioni di servizio è al settanta per cento legato al settore non-oil. La maggior parte degli impianti, in Europa, sono di proprietà: in questa situazione è facile dedurre che la liberalizzazione del settore non-oil permette guadagni maggiori e l’opportunità di passare dalla gestione dell’impianto all’acquisto. Attualmente in Italia la ristrutturazione della rete distribuzione lasciata a metà, ha comportato la diminuzione dell’erogato medio e la non liberalizzazione del settore non-oil, rendendo impensabile un simile percorso. Con quei miseri tre centesimi a litro, per ripagare l’investimento iniziale ci vorrebbero decenni.
La mancata liberalizzazione del settore non-oil non ci ha privato soltanto di una importante fonte di reddito, ma anche della possibilità di avere una certezza sul futuro nostro e dei nostri dipendenti e di avere un peso maggiore ai tavoli di trattativa con le compagnie. L’insicurezza generata dal contratto di gestione potrebbe essere superata se fossimo proprietari degli impianti. Quindi la liberalizzazione del settore non-oil deve avvenire il prima possibile, prima che la nostra categoria sia definitivamente piegata.

Il futuro che vorremmo
Ma non voglio limitarmi alla critica, le nostre parole non devono limitarsi solo alla denuncia, noi dobbiamo fare delle proposte per il futuro.
Cominciamo col dire che noi non siamo contrari alla liberalizzazione, un vero processo di liberalizzazione in Italia sarebbe ben auspicato dalla nostra categoria. Se incidesse davvero sui livelli di libera concorrenza tra i soggetti coinvolti. Potremmo esercitare ancor di più una funzione di presidio del territorio, nelle nostre città sempre più insicure, potremmo diventare un Faro nella Notte.
Ma abbiamo bisogno di una serie di riforme: la diminuzione, se non addirittura l’eliminazione, dei costi delle transazioni di denaro virtuale (commissioni sulle carte di credito o debito), la già citata liberalizzazione del settore non-oil andrebbe accompagnata da una totale liberalizzazione degli orari di apertura, bisognerebbe chiudere definitivamente gli impianti non a norma e insistiamo col dire di abolire l’idea di impianti ghost.
Queste riforme, oltre ai vari aggiustamenti del settore già citati, potrebbero portarci nella modernità, più vicini ai modelli funzionanti europei.
L’idea che vogliamo rilanciare è che noi non siamo solo quelli che erogano benzina, noi, spesso, in molti luoghi d’Italia, siamo gli unici a cui rivolgersi in caso di bisogno: quante volte abbiamo dato indicazioni stradali o abbiamo fatto fare una telefonata a chi era in difficoltà, quante volte abbiamo soccorso automobilisti in panne, quante volte le nostre stazioni hanno fatto da riferimento nei casi di emergenza? Noi vogliamo continuare a fornire un servizio pubblico di prima necessità per chi viaggia e lavora, a far muovere gli italiani in sicurezza, con l’assistenza di oltre ventimila operatori sparsi sulle strade d’Italia. Questo è il modello di sviluppo che vogliamo preservare, il nostro stile di vita. Non possiamo acconsentire alla desertificazione che avverrebbe se fossimo sostituiti da macchinette self service. E’ dovere del legislatore garantire sicurezza e confort, elementi che non sono nella disponibilità del potere politico asservito a questo o a quel potentato economico. E’ per questo che come Faib continueremo a batterci, in Sicilia e in tutto il paese.