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Fermiamo la controriforma

La crisi del settore petrolifero c’è ed è crisi congiunturale e di prospettiva.
E’ sotto gli occhi di tutti che calano i consumi oil, si allarga il ricorso a carburanti eco-compatibili e più economici, progrediscono le innovazioni tecnologiche di diversificazione dell’autotrazione, miranti al risparmio energetico. Mentre il settore della distribuzione carburanti sembra inchiodato al palo della cultura monoprodotto.
La crisi si aggrava non solo alla luce delle difficoltà dell’ economia nazionale – e di quelle occidentali più in generale – ma anche in considerazione dell’appesantimento di tutti gli oneri amministrativi, fiscali e tariffari gravanti sulle gestioni.
Il chiamarsi fuori – da tutta la partita gestionale – operato da diverse compagnie complica il quadro di riferimento e denuncia l’affaticamento di un modello e lo stress dei margini che grava sul comparto.
A fronte di un quadro, dunque, problematico, la prospettiva appare ancora più incerta.
L’industria petrolifera è tutta protesa a risposte immediate, di breve periodo e di corto respiro, al mantenimento delle proprie quote, anche a costo di politiche di cannibalizzazione dei brand – per i quali si continuano ad investire milioni di euro -, al tentativo di esternalizzazione dei costi, alla socializzazione degli oneri per sconti e promozioni, precludendo l’orizzonte a politiche di crescita e diversificazione e di partnership con i gestori.
Non si profila una rinnovata mission della presenza rete, imperniata sugli operatori vendita e sui servizi qualitativi; una reinterpretazione delle politiche, suicide, rete-extrarete; una nuova ingegnerizzazione della logistica e della raffinazione che guardi verso nuovi mercati per lo sbocco dei prodotti. Così facendo si rischia di affogare, tutti insieme, in uno splendido stagno.
La politica appare distante e senza autorevolezza. Pesa anche il nodo della mancata attuazione del Protocollo d’intesa Scajola, delle linee riformatrici in esso contenute. A partire dalla strutturalizzazione del bonus fiscale, alla ridefinizione del fondo indennizzo, agli interventi di innovazione della rete sul lato del non oil e dei nuovi business e della professionalizzazione.
Il protocollo Scajola, che sarà inviato per conoscenza al nuovo Ministro dello Sviluppo Economico, fu varato quando l’attuale Sottosegretario con delega era solo un illustre parlamentare. Il suo operato è, ad oggi, un voltafaccia agli impegni sottoscritti e suona come un autentico schiaffo al povero Scajola e a tutto il Governo.
L’ipotesi di riforma del settore, infatti, che sta proponendo il dicastero dello Sviluppo Economico, dopo le proposte di lavoro sbandierate dal Sottosegretario delegato, ci impone un’ analisi seria e riflessioni concludenti.
Sia detto con estrema chiarezza, rispetto agli interventi che si stanno approntando stravolgendo di fatto un sistema che ha garantito fino ad oggi la mobilità ed il servizio capillare ai cittadini consumatori su tutto il territorio italiano, esprimiamo netta contrarietà.
La proclamazione dello sciopero nazionale dei gestori è la risposta naturale verso il Governo e verso chi vuol approvare degli interventi che nulla hanno a che vedere con il fine di raggiungere obiettivi di modernizzazione, di razionalizzazione e di efficienza della nostra rete distributiva, rispetto al resto dell’ Europa.
Se ad oggi non sono state ascoltate le nostre osservazioni e le richieste di incontro, rispetto ad una volontà di favorire i poteri forti dell’industria petrolifera e della grande distribuzione, qualche motivo c’è.
I gestori pongono questioni vere, mentre il Governo illude i consumatori che le misure proposte andranno ad incidere favorevolmente sul prezzo finale dei carburanti.
A fronte di un quadro di inganni e mistificazioni ( tali sono le promesse sui self, la politica di finta trasparenza sui prezzi, la volontà di facciata di razionalizzazione…) non ci rimane che l’arma dello sciopero per denunciare il tentativo messo in atto da questo esecutivo, che mina gli equilibri delicati del settore, riversando sulla pelle dei gestori il prezzo da pagare, estromettendoli da una competizione che li vede già fuori gioco.
Alla base della protesta c’è il tradimento degli impegni presi dal Ministro Scajola, con la sigla del protocollo di intesa del 20 giugno 2008, completamente disattesi. Ci sono le promesse ai retisti di ingrassarli a spese dei gestori, tramite l’utilizzo del fondo indennizzi; c’è la mancanza di serietà nel perseguire ipotesi di razionalizzazione della rete vendita; c’è la cancellazione di qualsiasi obiettivo di innovazione programmatico e ammodernamento della rete per offrire ai cittadini più prodotti e più servizi; c’è la denuncia di latitanza rispetto al traguardo dello sviluppo multifunzionale dei punti vendita.
Si perseguono palesemente interventi di sfruttamento commerciale – qui ed ora – senza un respiro riformatore; di impoverimento dei servizi al cittadino e al territorio tramite la previsione di impianti completamente automatizzati senza la presenza del gestore; ma anche la rimozione del vincolo di prodotti eco-compatibili per le nuove aperture, e ancor di più il rifinanziamento del fondo indennizzi a favore dei concessionari per la chiusura volontaria, senza intervenire sugli impianti incompatibili per la sicurezza.
Si spostano i problemi e si mette la polvere sotto i tappeti.
Questi argomenti sono solo alcune delle tante rivendicazioni alla base della protesta, che potrebbe essere anche ulteriormente ampliata qualora il Governo intendesse accelerare nel percorso legislativo senza quella concertazione necessaria.
E pensare che di idee ne sono state avanzate, da parte dei gestori. Per quel che riguarda Faib ricordiamo la proposta articolata sui famosi 7 punti inviati al Ministero a gennaio 2010, che qui ricordiamo per capitoli:
-superamento del differenziale rete-extrarete, tramite previsioni legislative di ampliamento della sfera negoziale;
-allentamento del vincolo di esclusiva;
-revisione delle politiche di promozione;
-rilancio e allargamento del non oil;
-sviluppo rete del gpl e del metano;
-interventi sul costo della monetica;
-razionalizzazione vera della rete.
E poi misure di concretezza sulla sicurezza sulle stazioni con la previsione legislativa degli impianti di video-sorveglianza, l’assicurazione obbligatoria, i sistemi blindati di custodia e conferimento dei contanti, un osservatorio di pubblica sicurezza contro le infiltrazioni mafiose.
Un Ministero in tutt’altre faccende affaccendato neanche ha risposto alle proposte avanzate, finendo con l’essere travolto dalle polemiche e dagli scandali sulle case.
Un Ministero di vitale importanza, come quello dello Sviluppo Economico, è rimasto troppo a lungo senza una guida autorevole, capace di raccogliere le istanze di tutti i soggetti produttori e non solo dei padroni del vapore. Ora occorre ricostruire – con il nuovo responsabile – un quadro di conoscenza e un agenda condivisa per un settore strategico che fa muovere gli italiani e fornisce l’energia necessaria a far muovere la macchina “Italia”.
Quale sorda lotta di potere ha condotto a simile miopia?
Sia chiaro, la controriforma che si delinea mette a rischio il lavoro di una intera categoria coinvolgendo- nel medio periodo – oltre centomila addetti, ma rischia di trasformare l’Italia in un paese nelle mani di furbetti capaci di lucrare su rendite di posizioni e pronti a sfruttare – per il proprio arricchimento – i margini di oscillazioni scanditi dalle speculazioni. Altro che risparmi e razionalizzazione.
E’ evidente che va respinta.
Bloccare, dunque, que
sta controriforma è necessario per riaffermare i valori della competizione e del mercato, della qualità del servizio e della professionalità, per stanare gli speculatori che si ingrassano nelle pieghe di un mercato viziato e gli amici dei poteri forti.

Martino Landi