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Fegica predica unità e semina divisioni

Dopo una fase breve che aveva fatto sperare in un lento riavvio di dialogo e confronto, Fegica torna, con toni aggressivi, ad attaccare i sottoscrittori dell’accordo del 28 luglio u.s. con Eni.
Lo fa utilizzando l’armamentario insultante messo in campo nella calda estate che avevamo immaginato di avere alle spalle. Pensavamo male, il lupo perde il pelo ma non il vizio.
Abbiamo avuto la sensazione, confortati da autorevoli osservatori, che fosse in atto, nelle ultime settimane, una rielaborazione di quel passaggio che ha bruciato l’unità delle Associazioni dei gestori. Pur rimanendo un giudizio fortemente critico su quell’accordo, avevamo letto nella definizione che se ne dava, da ultimo accordicchio una evoluzione rispetto alla precedente “accordo truffa”.
Accordicchio, ragionavamo, è un accordo piccolo, che non vale molto, che non influisce più di tanto, quasi ininfluente. Su cui si può discutere. Ma, evidentemente, occorreva poi spiegare perché si era fatto tutto quel baccano per un piccolo accordo.
Accordo truffa, invece, presuppone una volontà truffaldina, un perseverante ingegno finalizzato a raggirare, il concorso di più volontà per stravolgere un contesto: ci sembrava, come dire, di cogliere un nuovo approccio che ridefiniva la portata di quell’accordo e lo collocava in una dimensione più ragionevole e dialogante.
Ma se i toni non sono cambiati, come dimostrano i recenti scritti e le ultime iniziative pubbliche, e il giudizio su quell’accordo permane lo stesso, che senso ha chiedere, con argomentazioni da studio legale, di partecipare all’attuazione dello stesso? Come si immagina di intervenire nella definizione di dettagli attuativi di aspetti dell’Accordo che non sono condivisi? Che contributo si vuole dare se si arriva al tavolo con un giudizio già negativo di quello che si deve discutere e concordare?
Sono interrogativi che devono sciogliere coloro che hanno operato la divisione, che l’hanno accompagnata con toni da crociata, sperando di seminare paure ed insicurezze per poi passare a raccogliere adesioni entusiastiche.
Per onestà intellettuale, Faib e Figisc non hanno né voluto né tenuto fuori la Fegica dal tavolo negoziale con Eni. E’ essa stessa che ha scelto di rimanere fuori, concentrandosi con tutti i suoi uomini a insultare coloro che hanno sottoscritto l’accordo, pensando che il mondo si sarebbe improvvisamente fermato ed i gestori tutti, Agip e non, si sarebbero ribellati, sentendosi traditi e truffati dalle loro stesse rappresentanze. Invece non è andata così, le assemblee territoriali da essi svolte in queste settimane parlano da sole: a parte le truppe cammellate, vi hanno partecipato, complessivamente, poche decine di operatori, per lo più di altre compagnie, a dimostrazione della larga condivisione dell’accordo, a partire dagli aspetti economici, che sono stati sbloccati dopo 18 mesi di trattativa e tre anni di attesa.
L’alternativa sarebbe stata la continuazione indeterminata della trattativa, la rincorsa ad Eni su un terreno conflittuale e poco favorevole, l’allungamento dei termini della riscossione del pregresso e del rinnovo del margine, l’allontanarsi di soluzioni attese.
Si favoleggia di incontri segreti, tanto segreti da essere pubblici. C’è invece un calendario di impegni molto stringente per definire tutti gli aspetti dell’accordo, ufficializzato in un verbale tra le parti, che intendiamo onorare e far rispettare in tutti i suoi particolari.
Per quanto ci riguarda non ci sono, nè mai ci sono state, preclusioni o chiusure: disponibili al confronto, non all’invettiva; alla collaborazione, non agli insulti. Ma chi deve scegliere se sedersi al tavolo e sciogliere i nodi delle contraddizioni in cui si avviluppano non siamo noi. Tutti possono partecipare, ma una cosa è certa, dobbiamo remare tutti quanti nella stesa direzione, altrimenti quel traguardo non lo taglieremo mai.
La verità è che probabilmente si pensa di alimentare strumentalmente una ipotetica protesta, sullo specifico dell’accordo, immaginando di raccogliere consensi, di accreditare un ipotesi dialogante mentre si menano fendenti, dimenticando che la categoria dei gestori sa fa fare molto bene i conti e che chi semina vento raccoglie tempesta.
Alzando lo sguardo un po’ più in là riteniamo che le divisioni delle Associazioni di categoria dei gestori affondano le radici nell’attuale congiuntura economica e nelle modificazioni strutturali del mercato oltre che nelle divisioni della filiera petrolifera.
Qualcosa, dunque, che va al di là della stessa volontà dei singoli e riguarda la capacità di leggere i passaggi che abbiamo di fronte.
Appare un’industria carente sotto il profilo di una visione strategica adeguata alla fuoriuscita dalla crisi.
Non va meglio il fronte istituzionale ed economico imperniato sulla dialettica tra Ministero dello Sviluppo Economico e Ministero dell’Economia, tra Regioni, Unione Europea ed Antitrust. Mentre cresce la presenza e l’invadenza della GDO.
Immaginare una soluzione di sintesi tra le Associazioni dei gestori, in un quadro così complesso, appare problematico, soprattutto se c’è chi invece di lavorare per il superamento delle contraddizioni opera per consolidare divisioni e contrapposizioni.
Faib ritiene che occorra lavorare per rilanciare il confronto tra tutti gli attori, per ricomporre un quadro d’insieme che, detto senza illusioni, non sarà come prima, ma potrà riaffermare principi e valori di riferimento.
Va in questa direzione il tavolo ministeriale della filiera petrolifera.
Per Faib il terreno di confronto delle Associazioni dei gestori, soprattutto in questi frangenti, è da una parte quello di marcare la controparte le compagnie, per negoziare, concludere accordi, i migliori possibili e dall’altra quello di riaffermare il quadro economico-normativo di riferimento.
Un campo ampio dove ci si può ritrovare…