Se si pensa alle aree di servizio autostradali, in genere le prime qualità che vengono in mente sono la stabilità di presenza e l’orario a 24 ore. Si sono viste aree di servizio aprire dove prima c’erano campi, aree ristrutturate e diventate ancora più grandi, ma non si era mai vista un’area di servizio chiusa per crisi.
Invece è successo e continua a succedere.
Di fatto il primo caso in Italia di chiusura per crisi economica di un’area di servizio autostradale è balzato agli onori della cronaca con l’avvento del 2014. Stiamo parlando dell’area di servizio Tamoil di San Cristoforo Sud, sulla A10 tra Savona e Albisola in direzione Genova, che con il nuovo anno è praticamente diventata una sorta di “fantasma” lasciando a casa dodici lavoratori.
E poi, è cosa di questi ultimi giorni, a Portogruaro hanno chiuso, dopo 23 anni, le stazioni di servizio "Gruaro est" e "Gruaro ovest" lungo l’autostrada A28 Portogruaro-Pordenone, dati in concessione alla Q8. I due impianti erano stati tagliati fuori in quanto avevano dei prezzi "imposti" più alti della concorrenza gravati dalle difficili condizioni del mercato.
Situazioni che, indubbiamente, ben esprimono il difficile momento che attraversa il comparto della distribuzione dei carburanti anche in autostrada.
Basti pensare che l’autostrada Brebemi rischia di aprire a giugno senza distributori di benzina. Perché? E’ di nuovo la longa manus della crisi a prendere tutto: anche alla terza gara pubblica per l’assegnazione del servizio carburanti nelle due stazioni di servizio che saranno realizzate a Caravaggio (e denominate "Adda nord" e "Adda sud") non è arrivata alcuna richiesta.
Sono storie che rischiano di trasformarsi in ordinaria crisi che però, di ordinario, non hanno proprio nulla. Il triste primato per aver inaugurato i casi di chiusura per crisi economica è proprio quello dell’area di servizio San Cristoforo Sud che con il nuovo anno ha chiuso i battenti.
A raccontarci come è andata è direttamente Marco Gherardi, il gestore che dal 2009 la portava avanti ed è stato costretto ad issare bandiera bianca prendendo la sofferta decisione di chiudere, mettendo in mobilità il personale, ben dodici dipendenti, a casa dal 1° gennaio 2014.
Il motivo? La crisi del traffico unita anche all’installazione, nel 2011, dei pannelli fono assorbenti hanno messo in ginocchio la società di gestione che, nonostante il calo dei consumi, in questi anni ha sempre cercato di mantenere inalterati i livelli occupazionali.
La ditta che gestiva il servizio era la Servishop, che lo aveva avuto in affidamento dalla Airest, catena di duecento punti vendita in dieci Paesi europei, a sua volta vincolata alla compagnia petrolifera Tamoil. Una vicenda assurda che merita senza dubbio una riflessione in più, soprattutto perché è stato il primo caso in Italia.
Per questo abbiamo deciso di far raccontare la storia proprio a Marco Gherardi, per capire meglio la questione.
Gherardi ci può fare un breve excursus di cosa è successo?
Erano ormai cinque anni, dal 2009, che gestivo l’impianto. I problemi sono iniziati tre anni fa, in concomitanza con i lavori per l’installazione delle barriere fonoassorbenti. Già l’area di servizio non era posta in un tratto particolarmente visibile, poi le strutture per il contenimento del rumore non hanno fatto altro che peggiorare la situazione. A dare il colpo di grazia, in un percorso consequenziale, ci ha pensato poi la crisi economica. Abbiamo dovuto fronteggiare una diminuzione drastica dell’erogato, passato da 3 a 1 milione di litri all’anno. E per un impianto dotato di sette pompe significa la morte.
Quanti dipendenti aveva?
L’area di servizio dava lavoro a dodici dipendenti che adesso stanno tutti a casa. Fattivamente l’area di servizio è stata chiusa il 31 dicembre scorso. Una vergogna contro la quale abbiamo cercato di lottare, purtroppo però senza ottenere risultati e soprattutto nell’indifferenza delle istituzioni, della compagnia e della società che gestisce la tratta autostradale…
Ma quali sono i motivi per cui l’azienda ha deciso di chiudere l’area di servizio?
Sicuramente l’installazione delle barriere anti rumore ha rappresentato il colpo di grazia ma la situazione, a causa della crisi economica, negli ultimi quattro anni, non ha fatto altro che peggiorare. Sarebbe bastato che la compagnia Airest avesse rivisto/rinunciato al canone di affitto e magari la compagnia avesse incrementato il margine sul litro … Ma tutta la situazione è molto complessa, anche Airest aveva le mani legate dovendo pagare royalties molto alte e il gestore attuale, la Servishop appunto, non riusciva più a far fronte alle spese. Da qui la decisione della chiusura.
Quali sono le problematiche sul segmento autostrade?
Principalmente abbiamo avuto un drastico calo dell’erogato a partire dal 2008 e anche il 2014 è iniziato con un decremento di un buon 10%. In tutti questi anni abbiamo perso il 70% dell’erogato se si considera che, prima di chiudere l’impianto, erogavamo circa 2,6 milioni di litri. Il risultato è che un pezzo di Autostrada ligure è senza servizi…
Cosa sta facendo la Regione Liguria?
Abbiamo avuto diversi colloqui con l’Assessore Vesco, alla presenza di sindacati, lavoratori, Autostrade ed istituzioni. Ma purtroppo non si è risolto niente. Addirittura la società Autostrade ha detto di non essere a conoscenza del problema, prendendo la situazione sotto gamba. Poi c’è stata la chiusura. A metà gennaio abbiamo avuto un nuovo incontro in Regione, si è cercata un’intesa, si è aperto un tavolo. Ora occorrerà aspettare il 7 febbraio prossimo, data in cui è stato fissato un nuovo incontro; intanto l’area è chiusa, i lavoratori a casa e gli utenti privi di servizio…
Che ruolo ha giocato la compagnia petrolifera?
Da parte di Tamoil c’è stata la volontà di intervenire impegnandosi anche nei mesi passati ad avere un incontro con società Autotrade e Airest ma non sono riusciti a trovare una quadra, perché la concessionaria non ha mollato…
Secondo lei cosa bisognerebbe fare per arginare la crisi?
Nel nostro settore è necessario ristrutturare l’assetto, apportare la chiusura notturna laddove serve, ovvero negli impianti che fanno meno di 3 milioni di erogato. Adesso è l’unico modo, ma le compagnie devono rivedere la propria politica sul segmento, ricercando una maggiore condivisione con le Associazioni dei gestori e rilanciare la propria offerta commerciale oggi troppo penalizzata e avere il coraggio di formulare una nuova visione…
Che prospettive vede?
In questo momento non è facile vederle, speriamo che i prossimi incontri sia a livello istituzionale che degli operatori- Società Autostrade e compagnia- portino a qualcosa di positivo.
Sulla grave crisi del settore è intervenuto Antonino Lucchesi, Presidente Nazionale Faib Autostrade, che una ricetta ce l’ha. Lucchesi nella sua analisi sostiene che le problematiche del comparto sono molteplici ma sintetizzabili in tre blocchi.
“Il caos – è il ragionamento di Lucchesi – è scoppiato nel momento in cui, dal 2004 in poi, la Società Autostrade ha imposto royalties sul fatturato altissime, sia per il servizio food che per le compagnie.
Questo ha comportato inevitabilmente un aumento del prezzo perché il peso delle royalties si ribalta sui prezzi alla pompa. Un secondo aspetto è la differenza tra i prezzi in città e quelli in autostrade che si è trasformata in un divario significativo.
In conseguenza di ciò le compagnie hanno attuato una strategia differente: hanno scartato l’Autostrada scegliendo di aprire grandi impianti ai margini delle uscite autostradali con un prezzo decisamente più appetibile. A questo, poi, si sono aggiunti i tre aumenti delle accise che hanno portato il prezzo del carburante in Italia ad un differenziale di 30-40 rispetto all’estero. Ecco che quindi tutte le aree di confine sono diventate fuori mercato.
In questi due ultimi anni, inoltre, abbiamo assistito ad un crollo degli erogati, almeno un buon 50%. Viene con sé, quindi, che molte aree di servizio sono andate ben al di sotto dei 3 milioni di litri all’anno di erogato, soglia minima per la sostenibilità economica, e quindi fuori mercato. Da qui, il collasso. E’ chiaro che le compagnie petrolifere hanno le loro responsabilità, ma non solo loro. Grande responsabilità ha l’attuale assetto della governance delle concessioni autostradali, perché un asset strategico così importante per il paese – che costituisce servizio pubblico ai sensi della legge 1034/1970 e del DPR 1269/1971 – non può essere abbandonato nelle mani di operatori che hanno una inevitabile vocazione monopolista.” Per Lucchesi, dunque, è fondamentale, innanzitutto “diminuire le royalties, almeno del 50%. Eliminare le royalties fisse, ovvero quelle indipendenti dall’erogato per arrivare ad una contrazione dei prezzi e ad una maggiore concorrenzialità. Non ultimo, dare al gestore servizi accessori, come la ristorazione per recuperare marginalità e poi razionalizzare servizi per diminuire i costi. Le Associazioni dei gestori hanno promosso e portato avanti una vertenza Autostrada verso il Ministero dello Sviluppo Economico e le parti coinvolte. Quella vertenza ha prodotto alcuni risultati tangibili, in termini di taglio dei costi e di proroga degli attuali affidamenti, per le compagnie che però non possono pensare di non ribaltare sui gestori parte dei benefici. Se non lo faranno rimarranno da sole nel confronto con le concessionarie e queste ultime e le compagnie resteranno senza gestori, come nei casi riportati…Come Associazioni di categoria stiamo cercando di interloquire con tutti: Anas, Autostrade, Compagnie .. Al momento abbiamo ottenuto una proroga di due anni per le aree di servizio (circa un centinaio) la cui concessione scadeva il 31 dicembre 2013, ma anche qui le compagnie faticano ad avere una visione di filiera e stanno mandando lettere di disdetta ai gestori… così non si va da nessuna parte e le Istituzioni non possono guardare da un’altra parte… rischiano di brutto su una viabilità strategica per il paese, presentando un pessimo biglietto di presentazione del nostro paese… Noi come gestori, come nel caso di Savona, il gestore ha dimostrato coraggio nel prendere una decisione non facile, ma inevitabile considerato lo stato delle cose. Il problema è sì la crisi, ma non solo. Come Associazione di categoria abbiamo proposto la razionalizzazione della rete perché abbiamo un eccesso di offerta, dovrebbe chiudere almeno il 30% delle aree di servizio, almeno quelle al di sotto della soglia minima di erogato e va rivisto e riscritto il capitolato dei servizi, argomento sul quale le Regioni debbono dare il loro orientamento e fornire un surplus di servizi dedicati che le aree possono svolgere in modo da garantire la viabilità veloce e la mobilità garantita ai propri cittadini. Siamo in presenza di un delicato equilibrio di sistema che va affrontato con il contributo di tutti, spazzando via le rendite di posizione, altrimenti ognuno trae le sue conclusioni.
Più in generale, occorre rilanciare una nuova vertenza Autostrada e rendere partecipi i cittadini, gli utenti principali del servizio che oggi sono costretti a pagare i pedaggi, i carburanti e i servizi più cari d’Europa…”