Un anno da dimenticare. Terribile per l’umanità, per le perdite di vite umane a centinaia e centinaia di migliaia nel mondo e nel nostro paese, uno dei più colpiti.
Le misure introdotte dai Governi per contrastare la pandemia sono state rigide e fortemente invasive per la vita sociale e civile delle popolazioni. Le conseguenze sul piano umano ed economico sono state disastrose.
Nel nostro settore le misure di contenimento della pandemia ci hanno costretto per quasi 6 mesi su dodici a gestire gli impianti della rete ordinaria a regime ridotto, con erogati in forte contrazione e in tanti casi addirittura azzerati. Ci sono stati giorni in cui non girava nessuno. I gestori sugli impianti in mezzo a strade spettrali, a prestare solo rifornimenti alle forze dell’ordine e ai mezzi di soccorso, per garantire quella mobilità indispensabile a supportare i servizi di assistenza e di emergenza. Ancor più negativa l’esperienza sul segmento autostradale che ha dovuto garantire h 24 il servizio e le aperture degli impianti senza eccezione alcuna, festivi e turni notturni obbligatori, anche in quelle fasce orarie del coprifuoco imposto per legge. Le perdite economiche a fine anno, rispetto all’anno precedente, si attesteranno in media intorno al 30/40% in meno sulla rete ordinaria e 70/80% sulla rete autostradale. I gestori hanno dovuto sopportare costi inversamente proporzionali ai ricavi ottenuti.
Il dramma della pandemia si è innescata su una crisi che va avanti dal 2007. Se a inizio 2020 la rete carburanti già soffriva per la lunga contrazione dei consumi, per l’illegalità dilagante e fuori controllo, per l’enorme evasione generata dal dumping contrattuale, per la riduzione dei margini che ha prosciugato le gestioni, la pandemia ha dato il colpo di grazia a tutto il comparto e ai suoi attori.
In questo scenario i gestori hanno pagato il prezzo più alto, schiacciati da una parte dalla contrazione delle vendite, mai registrata in passato, e dall’altra da un trattamento economico insufficiente, in conseguenza di accordi scaduti da anni, mentre i costi di gestione correvano.
Le organizzazioni sindacali hanno da subito promosso e concluso, con quasi tutti i principali soggetti petroliferi, integrati e no, Accordi economici e normativi straordinari per l’emergenza Covid-19, riconoscendo condizioni logistiche, operative ed economiche di maggior favore ai gestori.
Allo stesso modo Faib Fegica e Figisc hanno operato verso il Governo conseguendo un risultato importante nella prima fase della pandemia con il riconoscimento del contributo a Fondo perduto per la categoria e del ristorno disposto per legge dei contributi figurativi in Autostrada, dove anche le compagnie, ma non i ricchi concessionari, sono intervenute per sostenere la rete. E solo qualche mese prima della pandemia, sempre grazie all’azione sindacale unitaria, la categoria aveva potuto incamerare il riconoscimento del 50% di credito d’imposta sul costo delle transazioni elettroniche sulle vendite oil e del 30% su quelle del non oil.
Risultati importanti in termini economici e normativi conseguiti dall’azione dei Sindacati, che deve essere rivendicata e non può essere dimenticata o archiviata il giorno dopo, magari nell’inseguimento di un nuovo obiettivo. Questo certo non cancella la grande difficoltà attuale, ma senza la coesione delle tre Federazioni oggi molte aree di servizio sarebbero già chiuse.
L’incertezza che stiamo vivendo tutti, ci impone uno sforzo maggiore e l’esercizio della responsabilità verso la categoria rappresentata, che ci chiede di intervenire con forza a tutela della propria dignità per il lavoro che svolge al servizio della comunità.
Nei momenti di difficoltà aumentano le tensioni, le spinte rivendicative, si divaricano le analisi e le azioni. Esplodono le contraddizioni del sistema e si portano dietro personalismi, voglia di protagonismo, esasperazioni territoriali e/o di marchio. E’ quello che è successo negli ultimi due anni con la nascita di esperienze associative improvvisate, localizzate in aree delimitate, che contribuiscono ad indebolire la capacità negoziale della categoria. La forza di un gruppo dirigente ha innanzitutto la consapevolezza dell’unità, della possibilità di avere, manifestare e coltivare idee diverse, ma all’interno dell’unità sindacale e di ciascuna sigla, lottando per cambiare e affermare nuove leadership, anche laddove esse sembrano cristallizzate. I sindacati non sono senza responsabilità né senza limiti, ma la fuga da essi non aiuta la categoria, la indebolisce presentandola divisa e rissosa. Né è possibile far proliferare sigle e siglette e invocare una finta unità: se il processo degenerasse avremmo un’associazione nazionale in ogni provincia e poi in ogni comune. Saremmo all’esatto contrario di quel che chiede e pretende un sistema basato sulla rappresentanza vera e non strumentale. Su questo la Costituzione, la legge, il sistema giuslavoristico delle relazioni industriali costruito in 70 anni di democrazia è chiara: la rappresentanza è sostanziata da una larga e diffusa adesione omogenea sul territorio nazionale, organizzata in tutte le province e regioni, fondata su organizzazioni firmatarie di CCNL e di Accordi economici previsti da norme di settore e generatori di diritti esigibili in forza di legge, facenti parti di Confederazioni rappresentate nel CNEL, l’organismo costituzionale previsto per la rappresentanza delle forze economiche e sociali del paese.
Detto questo, in un quadro di grande complessità per il paese, siamo consapevoli di essere nel mezzo di una profonda trasformazione della società e del nostro settore interessato dal più radicale cambiamento degli ultimi 80 anni dettato dalla transizione energetica.
Si può discutere sulle modalità di avvicinamento, e gestione, a questa fase. Sulle scelte di politiche incentivanti e discriminatorie tra fonti di energia. Sulla violazione del principio della neutralità tecnologica, che andrebbe sempre garantita. Sulle modalità di generazione della fonte elettrica, fortemente dipendente dai combustibili fossili. Ma la transizione nella mobilità è in atto.
Consapevoli che il mondo sta rapidamente cambiando sotto la spinta di nuove politiche energetiche, siamo impegnati a ricontrattare tutti gli accordi scaduti con le compagnie, cercando di traguardare i nuovi obiettivi energetici in un quadro di sostenibilità e rilancio delle gestioni, mettendo sempre il gestore al centro per la condotta delle “aree di servizi” sempre più attraenti ed essenziali per i cittadini.
In questo contesto, recentemente abbiamo firmato un accordo- dopo una lunghissima trattativa- con la più diffusa realtà petrolifera come numero di impianti, mentre con le altre il confronto è iniziato e in fase di affinamento. Incognite importanti gravano sui negoziati. Quelle che concernono i reali consumi dopo la fine della pandemia e nel nuovo scenario energetico; quelle di comprendere come e quanto incideranno le attività in smart working per la mobilità. Queste incognite vanno neutralizzate per mettere in sicurezza la rete e la filiera, perché nessuno di salva da solo.
Con queste variabili siamo chiamati a rinnovare gli accordi, scontando tutti quei mancati interventi, sia normatavi che tecnologici, che rendono incerto per non dire drammatico il futuro del settore, in ritardo rispetto alla transizione energetica e rispetto al contrasto del fenomeno dell’illegalità, che sottrae risorse ingenti sia agli operatori che allo stato, e del dumping contrattuale, che porta concorrenza sleale e pratiche di sfruttamento del lavoro, con evasione normativa e previdenziale .
Tutta l’architettura contrattuale del settore è in discussione, perché nella migliore delle ipotesi, se la filiera petrolifera trovasse le risorse necessarie, e attese, per migliorare il trattamento economico da riconoscere ai gestori, queste sarebbero comunque insufficienti. Il moltiplicatore pro litro, sia margine unico che differenziato self servito, non riuscirebbe a pareggiare la diminuzione delle vendite. Sarebbe, in termini assoluti, un nulla di fatto rispetto al passato. Ecco perché si pone la necessità di una rivisitazione delle condizioni economiche contrattuali. Tramite nuove tipologie contrattuali? Nuove ipotesi di gestione? Nuove modalità di relazioni economiche?
La speranza e l’auspicio rimane quello di arrivare prima possibile a debellare questo virus per poter ripartire in tutta sicurezza, tenendo conto, come la storia ci ha sempre insegnato, che dopo la guerra arriva la pace. L’auspicio è che la pace sia contrassegnata da una visione positiva, data dall’aver superato insieme questo anno orribile di cui non abbiamo precedenti, per poter ripartire con uno spirito nuovo improntato più che mai a valori equi e solidali, mettendo da parte egoismi e interessi che hanno impedito a questo settore di trasformarsi e ad adeguarsi ai cambiamenti che avanzavano.
Finalmente, dopo oltre un anno di assoluto silenzio, il primo impegno importante per il settore, annunciato per il Governo dalla Sottosegretaria Morani, è la convocazione del tavolo di settore per i primi di gennaio 2021, dal cui confronto auspichiamo possa partire un vero processo di riforma.
Sappiamo che di ristrutturazione in questo settore se ne parla da decenni ed è comprensibile l’atteggiamento scettico di chi ritiene questo un passaggio ormai di fatto poco utile e produttivo, ma così non è. Da quando i Governi che si sono succeduti negli ultimi decenni hanno di fatto promosso e attuato la liberalizzazione del settore ed hanno lasciato fare al mercato, i guasti sono esplosi in tutta la drammatica situazione che oggi ci troviamo a gestire: miliardi di evasione di Iva e di Accise; centinaia di piccoli marchi e depositi sorti come funghi e migliaia di gestori sui punti vendita senza diritti e con contratti capestro, una rete distributiva in cui non si investe più, in cui alcuni grandi gruppi multinazionali del settore hanno preferito abbandonare l’Italia come mercato di interesse. Del resto a chi sostiene che con il tavolo per la riforma stiamo perdendo tempo o a chi preferisce derive ancora più liberiste occorre dare una risposta forte e chiara: non vi è alternativa alla ricostruzione di percorsi condivisi di riforma, perché un mercato libero che possa assicurare uno sviluppo economicamente sostenibile va regolato.
Anche stavolta sappiamo qual è il nostro dovere e quanto sia complesso, così come sappiamo che rappresenta un’occasione per provare a dare un futuro alle gestioni. Apprezzamento, dunque, per l’apertura del tavolo con l’obiettivo di dare finalmente seguito alla razionalizzazione e differenziazione della rete, debellare l’illegalità e sconfiggere la pratica odiosa ed incivile del dumping contrattuale che rappresenta la violazione dello stato di diritto e il perpetuarsi dello sfruttamento dell’uomo sull’uomo. Sono temi che non possono non essere condivisi da tutta la filiera o perlomeno da quella che si pretende sana. La filiera deve pretendere dal Governo nella sua interezza, consapevole e forte del proprio ruolo di cerniera essenziale ed ineliminabile tra logistica e mobilità, rispetto ed attenzione, a partire dal prossimo appuntamento, quello in agenda per il prossimo gennaio. Insieme è possibile governare il cambiamento, anche quello epocale della transizione energetica, senza manie di protagonismo o con la supponenza di chi crede di avere la verità in tasca. L’intelligenza del confronto, delle voci plurali, ne siamo convinti, indicheranno la strada, come già accadde negli anni novanta, quando varammo una riforma grazie alla quale oggi la categoria può ancora vantare una serie di diritti fissati per legge. Quei diritti oggi vanno riaffermati e aggiornati e, soprattutto, adeguatamente remunerati, partendo dal dato che la gestione del piazzale di una “area di servizi”, moderna e multifunzionale, richiede professionalità e competenze complesse e merita di essere valorizzata in termini economici.